CAPOLAVORI DI PRAENESTE NEL MONDO: L’URNA FUNERARIA DEL MUSEO BARRACCO

CAPOLAVORI DI PRAENESTE NEL MONDO: L’URNA FUNERARIA DEL MUSEO BARRACCO

5 Maggio 2019 0 Di angelo

Numerosissimi, come si sa, sono i pezzi archeologici di provenienza prenestina finiti sul mercato antiquario nell’Ottocento ed oggi sparsi nei musei di tutto il mondo ma in particolare in quelli romani.

Il pezzo di cui ci occupiamo oggi è un’urna di calcare, un piccolo sarcofago che insieme ad altri oggetti costituisce uno dei rari esempi di un corredo prenestino di tomba, in questo caso ad incinerazione del defunto, parzialmente ricostruibile. Questa urna è oggi esposta al Museo Barracco di Roma. L’urna è a forma di tempietto ionico: la cassa ha alla base un piccolo zoccolo liscio (alto 4 cm.)e ai quattro angoli pilastri quadrangolari, lisci, rastremati verso l’alto, con capitelli: lungo i lati ha delle eleganti semicolonne scanalate (due sui lati lunghi e una sui lati corti) anch’esse rastremate e con capitelli ionici.

Il coperchio dell’urna ha la forma di un tetto con due frontoni e tre acroteri per lato. Le misure sono: 60 cm.di lunghezza, 33,3 di larghezza e 34,4 di altezza; quelle del coperchio, invece, sono 62,7 cm. di lunghezza, 36 di larghezza e 12,3 di altezza.

Questomonumento funerario è quasi un unicume sembra ispirato a modelli greci; databile al IV sec. a.C. e faceva parte di un corredo deposto dentro un cassone di peperino scoperto il 15 ottobre 1869 nella vigna di Giuseppe Galeassi, dietro la chiesa di San Rocco alla profondità di quasi palmi dodici. Il cassone comprendeva uno strigile di bronzo che aveva per manico una figura femminile nuda (acquistato dal sig. Pasinati di Roma, è stato poi rivenduto al British Museum dove è ancora oggi); uno specchio graffito, con la rappresentazione della restituzione in morte ad Aiace delle armi di Achille, anch’esso passato alla collezione Pasinati ma poi andato disperso (ne restano solo i disegni), una lekythos di alabastro, anch’essa irreperibile; una statua femminile acefala di pietra calcarea alta circa palmi quattro, di finissimo lavoro come descrissero gli scopritori.

Vale la pena riportare la relazione sugli scavi che fu redatta da Frederich Matz, messo al corrente della scoperta dal canonico della cattedrale, Daniele Bonanni, socio corrispondente dell’Istituto Archeologico Germanico. Il rapporto fupubblicato sul Bollettino dell’Istituto di Corrispondenza Archeologicadel 1870. Leggendolo ci sembrerà di essere quasi presenti all’avvenimento.          

«Nella vignaGaleassi il dì 15 di ottobre, alla profondità di quasi palmi 12, tornò alla luce una cassa di peperino dentro la quale era un bellissimo sarcofago di pietra calcarea lungo palmi tre meno due oncie e mezza ed alto circa due palmi, ornato di colonne ioniche. Il coperchio era fatto a schiena d’asino: dalle quattro estremità vi era un riporto come uno spizzo lavorato. Conteneva questo sarcofago una bellissima strigile il cui manico vien formato da una donna ignuda, di più un bellissimo specchio graffito. Inoltre si ritrovò una statua alta circa palmi quattro di finissimo lavoro, di pietra calcarea, ma senza testa».

Della statua, purtroppo, non c’è una descrizione più accurata e non si sa dove oggi sia conservata. Entro la stessa cassa, inoltre, si rinvennero le ceneri e i resti delle ossa del cremato e ornamenti in lamina d’oro della veste con cui evidentemente era stato posto sul rogo, un’evidente conferma dell’importanza di questa tomba certamente appartenente ad una persona di ceto sociale elevato, cosa che poteva già dedursi dalla raffinatezza dell’urna cineraria e del corredo stesso.

Angelo Pinci