326° anniversario della morte. PIETRO PETRINI PRENESTINO ILLUSTRE

326° anniversario della morte. PIETRO PETRINI PRENESTINO ILLUSTRE

14 Dicembre 2019 0 Di angelo

Nel dì quattordicidi decembre dell’anno presente finì di vivere in Palestrina il Canonico Pietro Petrini” – così scriveva Pietrantonio Petrini nelle sue “Memorie prenestine” sotto l’anno 1693.

Il padre di Pietro Petrini era un soldato alle dipendenze dei Colonna, e aveva molte proprietà in Palestrina; Pietro fece i suoi studi a Roma nel Collegio Romano dove, giovanissimo, nel 1665, vi tenne una pubblica disputa di filosofia, dedicata al cardinal Francesco Barberini. Divenuto dottore in filosofia e in teologia, fu istitutore dei figli del principe Maffeo Barberini; fu poi nominato Prefetto della insigne biblioteca di quella famiglia; aggregato all’Accademia del Collegio Romano di Propaganda Fide fu un assiduo dissertatore dei Concili.

Pietro fu un arcade, accademico deli Incostanti prenestini; un saggio delle sue poesie, in latino e in italiano, si legge nella raccolta «Componimenti detti all’improvviso nell’Accademia degl’incostanti»; era questa un’Accademia letteraria che aveva sede in una casa, vicino la piazzetta del Borgo, alla cui facciata, alla fine del ‘700, si potevano ancora leggere le parole «Accademia Volubilium». I componimenti furono recitati in una adunanza tenuta il 23 gennaio 1692 in onore della venuta a Palestrina del Conte Carlo Borromei e della sua sposa Camilla Barberini, e furono la prima opera della «Stamperia Barberina» – la tipografia creata dal cardinal Francesco Barberini Junior – che operò a Palestrina dal 1692 al 1744; molte sue opere – secondo Leonardo Cecconi – rimasero inedite.

Jean Mabillon chiama Petrini, «uomo erudito», Giovanni Pastrizio ne parla in una «Lettera Latina» diretta a mons. Carlo Agostino Fabroni, ne parlano i libri della Congregazione de’ Nobili del Gesù di Roma; lo ricorda, infine, una lapide a lui eretta dai fratelli Cesare e Pietrantonio, nella cappella del Rosario che la sua famiglia aveva in Cattedrale, nella lapide si legge, tra l’altro, che a quarantanove anni, afflitto da una malattia contratta per le fatiche degli studi, tornò in patria dove morì, appunto, il 14 dicembre 1693.

Angelo Pinci