FILIPPO DEMMA: ARCHITETTURE DELLA CONQUISTA

FILIPPO DEMMA: ARCHITETTURE DELLA CONQUISTA

20 Gennaio 2022 1 Di angelo

Ci occupiamo oggi di un articolo di Filippo Demma: Architetture della “conquista”: elementi per la ricostruzione di un dialogo culturale. L’articolo, che l’archeologo aveva presentato al Convegno “L’Italia centrale e la creazione di una koiné culturale? I percorsi della romanizzazione”, tenutosi a Roma nel 2014, è stato pubblicato negli Atti del convegno stesso (2016).

Demma, nominato nel 2020 Direttore del parco Archelogico di Sibari e l’anno scorso dirigente ad interim della Direzione Generale dei Musei Calabria, ha lavorato per quattro anni presso il Museo Archeologico Nazionale di Palestrina ed ha pubblicato diversi studi sulle antichità prenestine.

Nell’articolo in questione, Demma esamina alcune tra le tipologie architettoniche meglio documentate archeologicamente nell’Italia centrale in relazione con l’espansione romana. “La fase di colonizzazione posteriore al 338 a. C., – scrive – corrisponde al primo, vero momento di proiezione, anche culturale, di Roma oltre i confini del Lazio”. Presenta, tra l’altro,  una tavola sinottica dei templi etrusco-italici eretti nel III sec. A. C. (Fiesole, Volterra, Alba Fucens, Roma, Lanuvium, Segni ecc.) che presentano tutti caratteristiche simili: la frontalità, la sopraelevazione, l’importanza della cella rispetto al colonnato, l’uso di terrecotte. In questa sede ci occupiamo soltanto dei monumenti pubblici prenestini.

Le ricadute economiche, politiche e sociali della guerra annibalica e della conseguente espansione romana nel Mediterraneo daranno avvio alla grande architettura monumentale del II secolo. Le ingenti somme derivanti ad alcune famiglie dell’élite prenestina dai commerci nel Mediterraneo, soprattutto di schiavi come testimoniato da alcune iscrizioni nell’isola di Delo,  sono generalmente considerate la principale fonte di finanziamento del grande riassetto urbanistico di Praeneste e del suo santuario di Fortuna Primigenia. Demma evidenzia che la novità del tempio prenestino sta non tanto nell’assialità e la simmetria dell’architettura, quanto nella coordinazione funzionale di spazi e percorsi; i due principali centri del culto – il pozzo e la tholos – pur se a quote diverse, sono collegati in un unico organismo.

Anche il foro di Praeneste è caratterizzato da grandiosi edifici. L’aula con un colonnato a duplice ordine, la cui abside era pavimentata dal mosaico nilotico, è simmetrica alla grotta genericamente indicata “Antro delle sorti”. Esse erano collegate dal corpo di una basilica tra le più antiche d’Italia.

Un altro elemento esaminato è il Propileo, il complesso monumentale che doveva prevedere due ninfei simmetrici ai lati di una rampa che probabilmente costituiva la scalinata d’accesso al tempio. Il complesso si addossa ad un’opera di sostruzione realizzata con un basamento in opera quadrata rinforzato da una serie di ambienti a volta aperti a valle, in opus incertum.

Si occupa, infine, della serie di terrazzamenti in opera poligonale, inseriti tra il santuario di Fortuna  ed il complesso forense, dove sono stati rinvenuti un muro in opera quadrata, una pavimentazione a lastre di tufo su cui si aprono tre nicchie absidate con copertura a semicupola: La tecnica costruttiva  e l’orientamento, per Demma denunciano l’anteriorità rispetto ai monumenti circostanti, ma il ninfeo è coerente. Tutta la terrazza del Borgo sembra configurarsi come una quinta monumentale preesistente all’ultima ricostruzione del complesso e il ritrovamento di un’iscrizione, con cui L. Quinzio Flaminino, console del 192 a.C, ammiraglio di Tito durante la guerra contro Filippo Di Macedonia, dedica alla Fortuna una parte della preda di Leucade, suggerisce che la monumentalizzazione della terrazza, con la costruzione dei ninfei, risalga ai primi anni del II secolo a.C., finanziata probabilmente con parte dei ricchi bottini delle guerre orientali, alla quale i predestini  avevano certamente partecipato.

Per Demma tutti i suddetti monumenti si inseriscono in un progetto grandioso, integralmente finanziato dalle ricche famiglie prenestine. Conclude l’articolo così: “L’analisi del dossier dell’architettura pubblica nell’Italia centrale della tarda Repubblica ha tentato di rilevare l’interazione delle componenti romana, italica ed ellenistica, in un dialogo culturale, sociale ed economico di cui si è cercato di chiarire i termini e del cui inizio speriamo siano ora più evidenti le radici e le fondamenta. Fondamenta che, forse non a caso, posano in buona parte sulla salda roccia di Praeneste, benedette dalla dea Fortuna”.