ISCRIZIONI GRECHE IN DUE MOSAICI PRENESTINI

ISCRIZIONI GRECHE IN DUE MOSAICI PRENESTINI

21 Febbraio 2020 0 Di angelo

Al Convegno Internazionale di epigrafia, organizzato dalla Scuola Spagnola di Storia e Archeologia in Roma il 13 e 14 febbraio scorsi, ci sono stati due interventi che hanno riguardato il territorio prenestino: il 13 quello di Lavinio Del Monaco, Leggere un mosaico: iscrizioni greche dell’Italia centro-meridionale; il 14 di David Nonnis, La nascita e primo sviluppo dell’epigrafia esposta in ambito funerario: il caso delle necropoli prenestine tra IV e II sec- a.C.

Del Monaco si è occupato delle iscrizioni greche sui mosaici dell’Italia centro-meridionale, in particolare di 1 mosaico da Strongoli in provincia di Crotone, 2 da Pompei, 1 da Segni e 2 da Palestrina. In questa sede ci occuperemo soltanto dei due di Palestrina, che c i riguardano più direttamente.

 Il primo, reso noto da Lorenzo Quilici nel 1989, ha presentato da subito enormi problematiche che investono essenzialmente tre aspetti: il riconoscimento della scena rappresentata, il luogo nel quale poteva trovarsi originariamente, infine la sua cronologia. Il mosaico non fu scoperto in situ, ma fu sequestrato dalla Magistratura nella casa di un privato che lo aveva murato ricomponendolo su di un grosso pannello. Il mosaico che vediamo oggi è dunque il risultato di un restauro «pasticciato», successivo al taglio dell’originale. Su un fondo a tasselli neri si inseriva un emblema policromo, delimitato su tre lati da una cornice a tasselli bianchi, in cui si vedono a destra e al centro due figure femminili nude, in piedi e raffigurate frontalmente, mentre a sinistra un vecchio di dimensioni ridotte, probabilmente accovacciato o seduto e rappresentato di profilo. Proprio sopra di lui, all’interno di una tabella ansata, si legge un’iscrizione greca a tasselli bianchi disposta su tre righe che qui riportiamo in italiano:«Bella sì, per Zeus Olimpio».

Quilici propose di vedervi una gara di bellezza tra donne e in particolare una parodia del giudizio di Paride; per Del Monaco potrebbe trattarsi, con tutte le dovute cautele per il fatto che non ci siano maschere e che siano presenti delle figure femminili, di una rappresentazione di tipo teatrale. In questa prospettiva – ha detto – acquisterebbe maggior senso l’iscrizione greca, da intendere come una vera didascalia, anche confrontandolo con i due mosaici pompeiani firmati da Dioscordide e tratti da due commedie di Menandro.

Dove poteva trovarsi originariamente l’emblema? Quilici, facendo un’attenta analisi della topografia dell’area dove fu edificata l’abitazione nella quale era murato il mosaico, ritiene che esso si dovesse trovare in antico in un luogo non molto distante e ipotizza che il mosaico potesse originariamente abbellire le terme oppure una domus. In un recentissimo studio del 2017, Diana Raiano ha reso note 12 nuove evidenze archeologiche dotate di pavimenti cementizi, commessi di laterizio e tessellati tutti riconducibili ad ambienti residenziali o di servizio di domusdatabili perlopiù tra II e I a.C. Quindi anche per Del Monaco, se il mosaico proviene da questa area, ciò potrebbe avvalorare l’ipotesi che esso costituisse l’emblemache abbelliva uno di questi ambienti residenziali.

Per quanto riguarda la datazione, che Quilici propone al pieno o al tardo I a.C. per la presenza di apicature nelle lettere, Del Monaco dice che è davvero difficile definire la datazione del mosaico esclusivamente sulla base delle apicature, per cui molti sono i dubbi. “Quel che è certo – ha concluso la sua analisi Del Monaco – è che a buon diritto esso debba essere menzionato tra quei mosaici prenestini che attestano l’attività di artisti alessandrini: tra i quali non vanno annoverati solo i celebri mosaici del Nilo e dei Pesci, che ornavano gli edifici del foro, ma anche quello dei Grifoni e l’emblema con il ratto di Europa, oggi custodito a Oldenburg, entrambi provenienti proprio dalla città bassa”.

La parte più corposa della relazione ha riguardato il celebre mosaico nilotico, databile alla fine del II a.C., che decorava il pavimento della cosiddetta Aula absidata nel cuore dell’antica città di Praeneste, ed esclusivamente alle epigrafiche greche, tralasciando altri temi, come la possibile identificazione della struttura che lo ospitava e la questione della committenza del mosaico.

Il mosaico, nel restauro fatto nel ‘600 da Giovan Battista Calandra, raffigura una sorta di carta geografica dell’Egitto in veduta prospettica durante le inondazioni del Nilo, per i cui cartoni originali si è fatto spesso il nome di Demetrio detto il Topografo quale autore. Nel mosaico sono raffigurati molti animali, soprattutto della parte superiore, alcuni dei quali dotati di didascalia. La rappresentazione dell’inondazione del Nilo, secondo Del Monaco, diventa dunque anche una sorta di Bestiariofigurato, che si rifaceva a testi di zoologia tra cui anche quello del prenestino Claudio Eliano. Del Monaco ha messo a confronto le iscrizioni riportate da Kaibel nel volume XIV del Corpus delle Iscrizioni Greche con quelle riportate sulle tavole di Cassiano Dal Pozzo dedicate al mosaico nilotico. Per molti animali l’identificazione è certa (iena, sciacalli, giraffa, orso, tigre, leonessa, rinoceronte, lince), per altri è dubbia, come per il crocodilopardalis, forse un varano, oppure l’onocentaura, un animale fantastico descritto anche da Eliano.

A conclusione della relazione, Del Monaco si sofferma sull’identificazione del koiropiteco, o porco-scimmia, un termine che compare soltanto nella Historia animalium dove Aristotele, descrivendo il camaleonte scrive che ha la faccia simile a quella del koiropiteco.  In quasi tutte le edizioni moderne, il termine è tradotto con babbuino, in realtà, come si vede anche sul disegno di Cassiano, l’animale è più che una scimmia un piccolo suide e va identificato, probabilmente, con un potamocero, che ancora oggi vive nell’Africa sudsahariana.

Angelo Pinci