LA PIETA’ DI PALESTRINA ELIMINATA DAL CATALOGO DELLE OPERE DI MICHELANGELO

LA PIETA’ DI PALESTRINA ELIMINATA DAL CATALOGO DELLE OPERE DI MICHELANGELO

19 Giugno 2023 0 Di angelo

La Pietà di Palestrina, fino a pochi anni fa ritenuta opera di Michelangelo, è stata eliminata dal catalogo dello scultore. Ce lo rivela un articolo di Federico Giannini, pubblicato nel 2017 in Finestre sull’Arte: La Pietà di Palestrina: la più celebre opera “non di Michelangelo”.

Giannini ripercorre tutte le vicende della scultura. Il primo che ne ha scritto è stato lo storico prenestino Leonardo Cecconi che, nel 1756, la descriveva collocata nella cappella Barberini della chiesa di S. Rosalia e, per la prima volta, la indica come “un abbozzo del celebre Buonarroti”. Inizia così la storia di una delle opere più discusse del Cinquecento, in quanto non esistono documenti dell’epoca che la citino come opera di Michelangelo e nessuno dei suoi biografi ne parla.

Non si sa nemmeno come sia finita nella chiesa di S. Rosalia, forse era già li nel 1630, al momento dell’acquisto del feudo di Palestrina da parte della famiglia Barberini dai Colonna. Nella chiesa rimase fino al 1939, quando entrò a far parte della raccolta della Galleria dell’Accademia di Firenze, e dove è tuttora conservata.

La famiglia Barberini, in crisi economica, aveva deciso di vendere diversi pezzi delle sue collezioni d’arte, ed aveva preso contatti con un mercante tedesco per trattare la cessione del gruppo scultoreo al Metropolitan Museum di New York. La vendita divenne un affare di Stato, come ha anche scritto Adriano Amendola1, l’esportazione fu bloccata e, per l’Italia fascista sarebbe stata una pessima mossa permettere che l’opera finisse negli Stati Uniti; acquisirla ed esporla in un museo italiano sarebbe stata un’efficace mossa di propaganda per il regime.

Lo Stato, però, non aveva soldi per acquistarla, ma  Mussolini ebbe l’idea di coinvolgere nella vicenda l’industriale genovese Gerolamo Gaslini, aspirante senatore, sul quale pendeva un processo per frode fiscale. L’industriale fu “gentilmente invitato” dal Duce ad acquistare la scultura; il 6 agosto 1938, Gaslini versò 4.500.000 lire a Mussolini e il 3 ottobre seguente fu rogato l’atto di acquisto in cui si stabiliva che le spese di rimozione erano a carico del Ministero dell’educazione nazionale. In quell’occasione, lo storico dell’arte Pietro Toesca, che guidò l’operazione del distacco, scriveva: “Un capolavoro di Michelangelo è donato all’Italia dal Duce, offerta devota a Lui di un cittadino che vuole tacere anche il proprio nome”.

Un’opera come la Pietà di Palestrina aveva iniziato a suscitare la curiosità di tutti i più grandi studiosi già nei primi anni del ‘900. Il primo ad occuparsene fu Albert  Gremier che, nel 1907, pubblicò il primo articolo, in cui asseriva che il gruppo era da considerarsi di mano di Michelangelo, perché vi trovava strettissimi rapporti con la Pietà disegnata su un foglio conservato all’Ashmolean Museum di Oxford, tesi accettata anche da Valerio Mariani, il quale vi trovava agganci con un particolare del Giudizio universale della Cappella Sistina.

Altri, come Henry Thode, Anny E. Popp, Rudolf Wittkower e Charles de Tolnay, erano contrari all’attribuzione michelangiolesca, sostenendo che l’opera fosse lavoro di un allievo. Altri ancora tentarono di proporre un nome alternativo, proponendo gli scultori Niccolò Menghini o Francesco da Sangallo.

“Uno dei pareri che possiamo considerare definitivi – scrive Giannini – è giunto da parte di Giorgio Bonsanti nel 1987: sulla guida della Galleria dell’Accademia, lo studioso scrisse che l’opera è probabilmente “una cosciente imitazione del mondo poetico michelangiolesco” aggiungendo che “il gruppo plastico risulta altamente problematico e pertanto del più grande interesse, forse non nella documentazione dell’attività personale di Michelangelo, ma certamente di quella di una stretta cerchia di seguaci che si abbeveravano al suo complesso mondo di pensiero”.

Da allora l’opera è stata eliminata dal catalogo delle opere di Michelangelo e nella Galleria dell’Accademia è indicata come “attribuito a Michelangelo”. Il mistero dell’autore resterà fin quando non sarà scovato negli archivi qualche documento nuovo.

1) Amendola A., Michelangelo: un affare di Stato, in Aurigemma M.G. (a cura di), Dal Razionalismo al Rinascimento per i quaranta anni di studi di Silvia Danesi Squarzina, Roma 2011, pp. 461-468.