L’EPIGRAFIA ESPOSTA IN AMBITO FUNERARIO: IL CASO DELLE NECROPOLI PRENESTINE

L’EPIGRAFIA ESPOSTA IN AMBITO FUNERARIO: IL CASO DELLE NECROPOLI PRENESTINE

22 Febbraio 2020 0 Di angelo

La nascita e primo sviluppo dell’epigrafia esposta in ambito funerario: il caso delle necropoli prenestine tra IV e II sec. a.C. è il titolo della relazione tenuta da David Nonnis, al convegno internazionale di epigrafia tenutosi a Roma il 13-14 febbraio scorsi.

David Nonnis, docente di scienze dell’antichità all’Università La sapienza di Roma, fa parte di un‘equipe coordinata da Maria Grazia Granino Cecere, che da alcuni anni attende ad una nuova edizione della sezione prenestina di CIL XIV. Al convegno, ha messo in evidenza la rarità di iscrizioni in ambito funerario per quanto riguarda Roma, al contrario della notevole quantità di segnacoli funerari delle necropoli prenestine, che vanno dal IV agli ultimi anni del II sec. a.C.

A Roma, in età medio repubblicana, le iscrizioni ruotano attorno a quelle dei sepolcri gentilizi dei Cornelii, incise o dipinte su coperchi e casse di sarcofagi di una decina di membri, che non solo forniscono dati onomastici e sul cursus senatorio, ma anche sulle loro virtù morali ed eventuali res gestae. Questi monumenti iscritti, collocati all’interno di tombe di famiglia, dovevano avere una fruizione piuttosto ristretta, rivolta ai familiari che avevano diritto ad entrare nella tomba in occasione di nuove deposizioni o della celebrazione di riti periodici.

L’epigrafia funeraria prenestina costituisce un’eccezione alla scarsità di iscrizioni funerarie di Roma ed altri centri del Lazio, con gli oltre 350 segnacoli funerari venuti alla luce in circostanze e tempi diversi, nella principale area sepolcrale di Praeneste, nelle contrade Colombella e San Rocco, che si estendeva a sud dei limiti della città antica. La necropoli fu interessata, nella seconda metà dell’Ottocento e nei primi anni del Novecento, da un’intensa e caotica attività di scavo che vide spesso direttamente coinvolti anche noti antiquari dell’epoca, e che portò poi non soltanto alla dispersione sul mercato dei manufatti di maggior pregio, ma anche alla perdita delle associazioni dei corredi; a quegli scavi erano seguiti scarni resoconti a stampa, situazione migliorata negli ultimi decenni con la ripresa di regolari indagini archeologiche promosse dalla Soprintendenza che hanno aumentato notevolmente le conoscenze sulla necropoli.

I cippi (detti anche “pigne” dalla loro forma) recanti i nomi dei defunti, a cui se debbono aggiungere molti altri anepigrafi, dovevano in particolare marcare sul terreno la posizione delle tombe sottostanti, sarcofagi collocati entro fosse, ma anche urne di minori dimensioni o altri ricettacoli per ceneri. I segnacoli prenestini, quasi sempre decontestualizzati , come altre categorie di oggetti della necropoli, hanno subito una precoce significativa dispersione sul mercato antiquario, come già rilevava lo stesso Hermann Dessau nel 1887, nella prefazione alla sezione del CIL, XIV dedicata a tali documenti; le ricerche di Maria Grazia Granino Cecere, confluite nel volume di Supplementa Italica – Imagines dedicato al Latium vetus, hanno permesso di rintracciare e documentare fotograficamente all’incirca 150 iscrizioni,  quindi poco più del 40% della documentazione nota tramite la bibliografia.

Questa ingente base documentaria copre un arco cronologico compreso tra gli ultimi anni del IV sec. a.C. e lo scorcio del II sec. a.C.; la datazione per Nonnis, non conoscendo i contesti, dipende necessariamente dall’esame delle forme linguistiche e paleografiche dei testi e dell’evoluzione tipologico-stilistica dei manufatti, con una sostanziale preminenza dei cippi databili entro il III sec. a.C.

La tipologia più diffusa dei cippi, di altezza piuttosto variabile, è costituita da quelli in calcare su piede di sostegno variamente configurato. Le pineae, eseguite verosimilmente da officine locali, erano per lo più alloggiate in basi quadrangolari con incasso; le iscrizioni risultano variamente collocate sul piede di sostegno, sul suo fusto, sul bulbo terminale o, ancora, sul lato principale delle basi su cui erano in origine inserite. I nomi incisi sulle pineaenon sembrano mai coincidere con quelli presenti sulle basi; una possibile eccezione è costituita dal nome di un L. Samiarius L.f., che ricorre sia sul piede di una pigna conservata ai Musei Vaticani, sia su una base pressoché coeva trovata nella contrada Colombella nell’inverno 1877/78.

Accanto ai cippi a pigna, utilizzati indistintamente per deposizione maschili e femminili, sono poi attestati, a partire almeno dalla metà del III e soprattutto durante il secolo successivo, alcuni busti-ritratto, per lo più femminili velati, anch’essi in origine inseriti entro basi; le relative iscrizioni identificative erano poste o in corrispondenza della parte inferiore del busto o, più frequentemente, sulla sottostante faccia anteriore del supporto. I busti-ritratto conservati, una quindicina e tutti femminili riflettono un’evidente volontà di autorappresentazione delle defunte in funzione di un pubblico esterno; la raffigurazione di collane ed orecchini indica il loro statussociale; tra le donne cui sono riservati tali busti nel tardo II sec. a.C. Nonnis è stato capace di identificare la moglie di un (SaufeiusPontanus, cioè di un’esponente di una delle più rilevanti gentesdell’aristocrazia prenestina, per un ramo della quale è peraltro noto, in anni vicini, l’ingresso nell’ordo senatorius, anche se in cariche minori.

Nelle diapositive, Nonnis ha presentato anche una variante ai cippi, tre basi pertinenti a deposizioni maschili, sul cui lato anteriore è stata ricavata una nicchia che ospita piccole riproduzioni di togati, una o più figure in bassorilievo. In questa categoria rientra anche una base, oggi perduta, che sosteneva il segnacolo funerario di un [-] Orcevius M.f. Nasica, orientativamente da collocare negli ultimi anni della città libera; si trattava di monumenti che, tramite immagini, sottolineavano l’elevata posizione magistratuale raggiunta in vita dai defunti. La disposizione nella necropoli degli spazi funerari, per nuclei distinti, riflette l’esistenza di tombe di famiglia in zone circoscritte della necropoli di segnacoli pertinenti a membri della medesima gens.

Nonnis ha concluso la sua relazione presentando uno dei formulari più caratteristici della “scrittura esposta” in ambito funerario: il tema del saluto e del dialogo tra defunto e passante, che ha ispirato il titolo del Convegno. Nella base con incavo di un segnacolo funerario in peperino locale, è inciso il nome di una Euclesis, liberta di un Q. Cestius, un membro di un’altra rilevante gens antica di Praeneste,seguito dall’espressione del doppio saluto salve vale, cioè nella forma meno comune tra il momento dell’incontro e quello del saluto.

Dal confronto con la documentazione di Roma e di quella di altre comunità latine, spicca ancor di più il caso di Praeneste, – ha concluso David Nonnis – che viene a costituire, in primo luogo per la sua entità, un imprescindibile punto di riferimento anche per lo studio dell’epigrafia funeraria coeva di altre realtà dell’Italia antica. Si tratta, evidentemente, di semplici suggestioni e/o spunti per la discussione, che scaturiscono da questa prima sommaria ricognizione del materiale prenestino; sono necessarie attente verifiche, per le opportune precisazioni, che potranno scaturire soltanto da una revisione più circostanziata di questo imponente dossier epigrafico quanto più, auspicabilmente integrata dai preziosi dati forniti, in primo luogo in termini di definizione cronologica, dal promettente studio dei nuovi contesti”.

Angelo Pinci