63° anniversario dell’inaugurazione COMPLEANNO PER IL MUSEO NAZIONALE ARCHEOLOGICO

63° anniversario dell’inaugurazione COMPLEANNO PER IL MUSEO NAZIONALE ARCHEOLOGICO

25 Maggio 2019 0 Di angelo

Palestrina, durante la seconda guerra mondiale, subì una serie di violenti bombardamenti aerei che sconvolse il tessuto urbanistico di buona parte della città, ma mise in luce i resti grandiosi del monumento che aveva reso famosa l’antica Praeneste: il santuario della Fortuna Primigenia.

Dopo i bombardamenti era tutto un cumulo di macerie dal palazzo baronale fino al ripiano del Borgo; la ricostruzione sembrava molto lontana. Finalmente, dopo quasi dieci anni di lavori, il restauro del complesso templare e la trasformazione del palazzo in museo furono completati e fu stabilito il 23 maggio 1956 come giorno per l’inaugurazione. L’evento fu particolarmente importante per Palestrina perché il nastro sarebbe stato tagliato dall’allora presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi. Era la prima volta, dopo l’unità d’Italia, che un capo dello Stato visitava Palestrina.

Tutti gli esercenti da Via Anicia a Piazza Gregorio Pantanelli furono invitati dall’Amministrazione Comunale ad esporre la bandiera nazionale fuori dai propri negozi.

L’inaugurazione avvenne alla presenza delle autorità civili e militari di Palestrina e dei paesi vicini, di un folto pubblico e di numerose classi di alunni delle scuole locali.

Tornato a Roma il Presidente Gronchi inviò il seguente telegramma: «É stato per me motivo di compiacimento aver presenziato oggi alla cerimonia inaugurale del riordinato Tempio della Fortuna Primigenia e del Museo Archeologico e mentre rinnovo il mio plauso a lei ed alla Civica Amministrazione per la parte presa a così egregie opere, ringrazio altresì per le ospitali accoglienze resemi dalla popolazione di Palestrina».

All’inaugurazione del museo e del complesso templare era intervenuto anche il famoso archeologo Amedeo Maiuri, per molti anni direttore degli scavi di Pompei ed Ercolano; fu talmente colpito dalla bellezza del posto che non poté fare a meno di tornarvi il mese successivo. «Sono tornato al santuario della Fortuna Prenestina– scrive in un articolo sul Corriere della seraper ricontemplare, dopo l’ufficiale consacrazione degli scavi e del Museo, quel che indubbiamente è il più poderoso sforzo del dopoguerra in fatto di scavi e di sistemazione monumentale…ero venuto quassù quando le scalee del santuario apparivano fra due valanghe di detriti discesi dal monte come le morene ai lati di un ghiacciaio e posso oggi misurare in tutta la sua lunghezza il poderoso muro ciclopico del basamento…

Salgo, senza gran fatica, una delle rampe porticate e riprendendo l’ascesa sulle robuste pedate della scalea centrale, sbocco sulla terrazza della cortina e mi vedo innanzi, senza squarci e rovine, il palazzo baronale rinchiudersi e saldarsi ai portici del tempio. M’è chiaro, ormai, che il miglior restauro del santuario lo han fatto gli architetti del Palazzo, completando l’emiciclo del tempio con la concavità del corpo centrale, il criptoportico con la galleria superiore, le ali del portico con le fiancate laterali, con una coerenza ed una obbedienza esemplari e con il risultato di una stupenda monumentalità, che sembra scaturire dalle stesse strutture e architetture romane. E il Museo che v’è allogato ha preso anch’esso l’aria di un museo di nobile casa patrizia. É il degno coronamento d’una grossa impresa voluta tenacemente dalla nostra direzione generale, e che ha avuto per la sua esecuzione il felice connubio di un architetto e di un archeologo: il Fasolo e il Gullini.

Mentre percorro ammirato le sale del Museo parsimonioso di oggetti e di vetrine, ecco improvvisamente in un angolo apparirmi la statua della dea. É una statua terribilmente mutilata, di marmo bigio, di grandi proporzioni, a cui le mutilazioni e la corrosione non hanno tolto la nobiltà di una vera opera d’arte. M’inchino reverente alle reliquie della statua della Fortuna Primigenia priva, ahimè, dei segni più tangibili della sua potenza: la cornucopia e la pala del remo».

Angelo Pinci